ATTUALITÀ - PREGHIERA E CORPOREITÀ
Lezione da Oriente
di VITTORIA PRISCIANDARO
Yoga e lectio divina, T'ai
Chi e dialogo interreligioso:
in questi anni la sapienza
asiatica, soprattutto indiana
e cinese, si è fatta strada
nelle parrocchie
d'Occidente. Non è solo
moda, tanto meno gusto
per i sincretismi esotici.
Piuttosto un aiuto, per
analogia, nella meditazione
e un arricchimento della
propria fede cristiana.
La mano destra va a cercare
la sinistra e la impugna: è un
gesto antico, è l'unione tra il
sole e la luna, tra Yin e Yang,
il rito del saluto secondo
l'antica sapienza Ming. Così, l'ultima settimana
di luglio, ha avuto inizio il corso di
T'ai Chi Ch'üan, nella casa Pastor Bonus
di Lecce. Qualcuno tra i partecipanti indossa
la divisa dell'antica arte orientale
appena smessi i paramenti della celebrazione
eucaristica. La Messa di primo mattino
e poi la ginnastica e la meditazione
T'ai Chi.
A centinaia di chilometri di distanza,
nell'eremo camaldolese di Monte
Giove, agli inizi di luglio, la lectio divina
su un brano della Scrittura è accompagnata
dalle meditazioni sui testi del
Mahabharata, uno dei più grandi poemi
epici dell'India. Dopo il confronto verbale,
i presenti – molte donne, alcuni religiosi,
qualche sacerdote – fanno pratica
yoga e realizzano alcune sequenze che
vanno ad «aprire» quella parte del corpo
– il cuore se si parla per esempio della
carità – su cui la meditazione si è soffermata.
Segue la preghiera silenziosa.
Sono solo due esempi, tra i tanti,
che dicono come in questi anni la sapienza
orientale, cinese e indiana, si sia
fatta strada tra il popolo cristiano. Pochi sanno che in passato fu un gesuita francese,
Jean Joseph Marie Amiot, che nel
1700 anticipò nei suoi scritti quella che
sarà l'odierna comparazione tra la saggezza
cinese e l'ascesi cristiana, introducendo,
tra l'altro, come definizione sintetica
di una qualsiasi attività svolta bene e
virtuosamente, il termine Kung Fu.

Meditazione yoga (foto D. CHIDLEY/AP/LAPRESSE)
Oggi, sul solco aperto da questo
religioso e da altri precursori del
dialogo interreligioso, in Italia si
muovono diverse realtà, alcune più attente
al contesto della preghiera e della
meditazione, altre – come il T'ai Chi –
più specificamente legate alla riscoperta
della corporeità quale luogo fondamentale
e indispensabile della pratica spirituale
e terreno fecondo dell'incontro interreligioso:
le esperienze di meditazione
di consapevolezza, tra le quali va citato
l'autodidatta 96enne padre Piras, in
Sardegna, o la sezione italiana della Christian
Meditation, fondata negli anni '70
dal monaco trappista Thomas Keating.
E ancora, la meditazione profonda curata
dal padre gesuita Mariano Ballester a
Roma; la pratica dello zazen cristiano
del missionario saveriano Luciano Mazzocchi;
i gruppi che si rifanno all'esperienza
dell'incontro tra cristianesimo e
zen del tedesco padre Johannes Kopp
Rosh; i corsi di meditazione silenziosa tenuti
dal cappuccino Andrea Schnoller;
quelli di meditazione profonda al convento
dei Barnabiti di Campello, guidati
da padre Antonio Gentili, o organizzati
in giro per l'Italia da suor Marisa Bisi, delle
Figlie della Croce.
Si tratta di un universo
che non cerca la ribalta e in gran
parte ruota attorno alla rivista Appunti di
viaggio, nata come coordinamento delle
esperienze nel campo della meditazione
profonda, dove è possibile trovare indicazioni
su percorsi e date dei diversi
corsi e appuntamenti.
Va detto che i sospetti nei confronti
di pratiche lontane dalla cultura
occidentale, e quindi avvertite come «altre
» rispetto allo specifico cristiano, non
sono mancati.

Il T'ai Chi praticato negli Usa (foto S. PERLMAN/AP/LAPRESSE)
Un paio di anni fa, dalle
pagine del quotidiano Repubblica, Eros
Selvanizza, il presidente della Federazione
italiana yoga, invitava a un dialogo
aperto tra teologi e yogi, dichiarando
che alcune «suore e monaci hanno maturato
un'esperienza notevole, ma preferiscono
non farlo sapere. Non è che
se ne vergognino: non hanno capito se
per la Chiesa è un bene o un male». Il disagio
è comprensibile: la Congregazione
per la dottrina della fede, nella Lettera
ai vescovi della Chiesa cattolica su alcuni
aspetti della meditazione cristiana pubblicata
nel 1989, infatti, dichiarava: «Con
l'attuale diffusione dei metodi orientali
di meditazione nel mondo cristiano e
nelle comunità ecclesiali, ci troviamo di
fronte a un acuto rinnovarsi del tentativo,
non esente da rischi ed errori, di fondere
la meditazione cristiana con quella
non cristiana».
La Lettera entrava nello
specifico: «Alcuni esercizi fisici producono
automaticamente sensazioni di quiete
e di distensione, sentimenti gratificanti,
forse addirittura fenomeni di luce e di
calore che assomigliano a un benessere
spirituale. Scambiarli per autentiche consolazioni
dello Spirito Santo sarebbe un
modo totalmente erroneo di concepire
il cammino spirituale». Eppure, più avanti,
la stessa Congregazione affermava:
«Ciò non toglie che autentiche pratiche
di meditazione provenienti dall'Oriente
cristiano e dalle grandi religioni non cristiane,
che esercitano un'attrattiva
sull'uomo di oggi diviso e disorientato,
possano costituire un mezzo adatto per
aiutare l'orante a stare davanti a Dio interiormente
disteso, anche in mezzo alle
sollecitazioni esterne».

Due giovani donne durante la meditazione yoga (foto D. GIAGNORI/EIDON)
«Il T'ai Chi Ch'üan, per esempio, è
un'arte che è stata profondamente
influenzata dalle più importanti
correnti filosofiche e religiose cinesi:
scuola Yin-Yang, confucianesimo, neoconfucianesimo,
buddhismo Ch'an, taoismo...
», dice Roberto Fassi, il pioniere di
queste discipline in Italia, autore di alcuni
volumi sul tema.
«Siamo in un universo
lontanissimo dalla meditazione e dalla
preghiera cristiane. Non dimentichiamo
tuttavia che, grazie al dialogo interreligioso
che oggi fa parte della missione della
Chiesa, si apre la possibilità di un arricchimento
della tradizione cristiana. Certo, è
necessario anche un accorto discernimento
per evitare pericolosi sincretismi
», aggiunge il gesuita Davide Magni,
promotore con Roberto Fassi di corsi di
T'ai Chi al Centro San Fedele di Milano.
È su questa scia che si pongono le
pratiche più serie prima citate.
«Distinguerei
il dialogo interreligioso a livello
teologico dal piano della preghiera e meditazione
», dice Antonia Tronti, che da
molti anni tiene corsi di lectio divina e yoga
in alcuni monasteri camaldolesi (Fonte
Avellana, Monte Giove, Valledacqua);
con l'Associazione Oreundici, dove lavora
anche con i bambini; e con alcuni parroci,
come a Padova, dove ha iniziato allo
yoga un gruppo di giovani del coro e
uno di preparazione alla Cresima.
«Circa
venti anni fa ho deciso di approfondire
la mia fede cristiana cercando di trovare
dei collegamenti con la spiritualità indiana
», racconta Antonia. Un percorso
sulle tracce di alcuni cristiani che agli inizi
del '900 avevano provato a inculturare il
Vangelo in terra indiana, come per esempio
«il sacerdote francese Jules Monchanin
e i monaci benedettini Henri Le
Saux e Bede Griffiths», sottolinea padre
Magni. «I primi due, nel 1950, fondarono
nel Tamil Nadu il Saccidananda
Ashram (Eremo della Trinità), a Shantivanam
(Foresta della Pace). Alla morte di
Monchanin, Le Saux si trasferì nel Nord
dell'India, sulle rive del Gange, affidando
l'ashram alla guida di Bede Griffiths, che
trasformò l'eremo in una piccola comunità
monastica di rito cattolico indiano affiliata
all'ordine camaldolese, un luogo
che sarebbe poi stato visitato da migliaia
di persone da ogni parte del mondo».

Corso estivo di T'ai Chi sotto la guida del maestro Ignazio
Cuturello in provincia di Lecce. (foto A. CENTONZE).
Proprio alla scuola dei camaldolesi
Antonia Tronti ha approfondito
la sua ricerca e oggi, con i suoi
corsi, offre una mano a chi desidera conoscere
un'altra via e a volte "usa" lo yoga
come introduzione a un percorso più
profondo di spiritualità che non finisce
nella sola meditazione generica. «Sempre
più spesso, capita che gente che si è
allontanata dalla Chiesa scopra lo yoga
e, facendo pratica, ritorni alla tradizione
cristiana e si riavvicini alla fede conosciuta
da bambini», dice Tronti. «Sento di fare
un lavoro di servizio alla Chiesa, faccio
da mediazione tra lo yoga e la preghiera
». In altri casi, capita che alcuni,
«che si avvicinano allo yoga per un mal
di schiena, poi scoprano un "oltre" e si
accostino alla preghiera». Il successo dei
corsi, anche tra i cristiani, testimonia –
secondo Tronti – che «le persone sentono
il bisogno di prendersi cura di sé in
modo rallentato». Chi viene dall'area
cattolica avvicina lo yoga anche perché
sente che la spiritualità ha a che fare con
qualcosa di più interno, che abita nel
cuore dell'essere umano, e che va incontrata,
riconosciuta, alimentata: «Un'esperienza
che di solito è difficile fare nelle
parrocchie». E scopre un approccio diverso
alle discipline orientali, che all'immaginario
collettivo vengono sempre
più «vendute» per i risultati che permettono
di raggiungere, associate all'idea di
benessere e business: «Yoga, donne e leadership», «Yoga e T'ai Chi, le posizioni
che aiutano a star bene», «La meditazione
funziona da analgesico», «Yoga: la
battaglia del copyright» sono alcuni titoli
di articoli recenti sull'argomento.

Un'altra immagine dai corsi di Cuturello (foto A. CENTONZE).
Che ci sia, comunque, anche un risvolto
salutista in queste pratiche, è ormai
ufficialmente assodato: «In passato
nei protocolli clinici il T'ai Chi era riconosciuto
come medicina preventiva, ma
adesso viene identificato anche come
cura per la cronicità di alcune malattie»,
conferma il maestro Ignazio Cuturello,
tra gli organizzatori del corso di Lecce e
tra i promotori di numerose scuole in diverse
regioni. «È interessante sapere
che in Italia il T'ai Chi Ch'üan è conosciuto
e apprezzato soprattutto per merito
del maestro Chang Dsu Yao, che trascorse
gli ultimi diciotto anni della sua vita
nel nostro Paese. Militare di carriera
e alto ufficiale dell'esercito cinese, per
molti anni Chang Dsu Yao è stato istruttore
capo delle Forze armate e della Polizia
di Taiwan. Ha insegnato anche
all'Università di Taipei», aggiunge padre
Davide Magni, che con Francesco Tomatis,
Roberto Fassi e Ignazio Cuturello
ha curato un testo di prossima pubblicazione:
Corpo e preghiera. La via del T'ai
Chi Ch'üan. Il maestro Chang Dsu Yao
era di fede cattolica e – ricorda Fassi –
ogni sua lezione iniziava e terminava
con la cerimonia del saluto a Dio, agli antenati
e agli antichi maestri: «Metteva sovente
in evidenza che, pur essendo questo
un rito di matrice confuciana, i cristiani
credenti dovevano rivolgere, prima
e dopo la pratica, il loro saluto riverente
al Dio uno e trino».

Una lezione di yoga nel verde di Villa Pamphili, a Roma
(foto D. GIAGNORI/EIDON).
Insomma – conclude padre Magni –
ciascuna religione elabora differenti
spiritualità, intese come cura della vita
interiore: «La comparazione tra le diverse
religioni e relative spiritualità è
possibile solo nell'orizzonte dell'analogia,
non attraverso la ricerca di equivalenze.
E l'esperienza di questo dialogo
mostra notevoli intersezioni tra cammini
distinti. È per questa ragione che possiamo
ricorrere a patrimoni lontanissimi
dalla tradizione cristiana, quali lo yoga e
il T'ai Chi Ch'üan: non facendo sincretismi,
ma cogliendone le suggestioni per
via analogica. Il luogo fecondo di questo
dialogo è l'esperienza della corporeità».
Una intuizione che è stata benedetta
dallo stesso Pontefice: da 40 anni, infatti,
Dominic Chan Chi-ming, attuale vicario
generale della diocesi di Hong Kong,
promuove la pratica del T'ai Chi quale
via per una spiritualità matura, capace di
integrare tutte le dimensioni della persona
umana. Nel 2006 Benedetto XVI ha
ufficialmente riconosciuto questa iniziativa
pastorale, impartendo la sua benedizione
apostolica all'associazione Holy
Spirit Society for Tai Chi Spirituality.

Pratica
yoga in una chiesa protestante di Scottsdale, nello Stato americano dell'Arizona (foto P. O'NEILL/EAST VALLEY TRIBUNE/AP/LAPRESSE).
Alberto Melloni
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